Anche da giovane non riuscivo a condividere l’opinione che, se la conoscenza è pericolosa, la soluzione ideale risiede nell’ignoranza. Mi è sempre parso, invece, che la risposta autentica a questo problema stia nella saggezza. Non è saggio rifiutarsi di affrontare il pericolo, anche se bisogna farlo con la dovuta cautela. Dopotutto, è questo il senso della sfida posta all’uomo fin da quando un gruppo di primati si evolse nella nostra specie. Qualsiasi innovazione tecnologica può essere pericolosa: il fuoco lo è stato fin dal principio, e il linguaggio ancor di più; si può dire che entrambi siano ancora pericolosi al giorno d’oggi, ma nessun uomo potrebbe dirsi tale senza il fuoco e senza la parola.
Ultimamente si parla tanto di AI, delle loro applicazioni, delle implicazioni e ripercussioni del loro utilizzo.
Esattamente 40 anni fa nel suo libro “I robot dell’alba” (1983) Isaac Asimov, l’autore di fantascienza per antonomasia, ci suggeriva già l’approccio giusto.
Questioni etiche (ma anche abbastanza pratiche)
Quel che segue è una mia personale riflessione sull’argomento, fatta analizzando alcuni episodi che hanno attirato la mia attenzione negli ultimi mesi, con l’intento di comprendere meglio i punti di vista di utilizzatori e fornitori dei servizi relativamente all’utilizzo di tali tecnologie nei campi del lavoro, dell’arte, della cultura. Alcune delle fonti e aneddoti citati sono riportate dai post di Marco Natolli, che seguo, e che mi sono stati di ispirazione.
Originalità
In particolare gli addetti ai lavori si scontrano spesso sul tema dell’originalità in relazione all’utilizzo delle AI generative: ognuno di noi può diventare potenzialmente un artista?
La questione è ovviamente più complessa; tuttavia, alcuni casi emblematici continuano a scatenare polemiche.

A chi ha passato anni ad allenarsi, a coltivare le proprie skills e migliorare costantemente, non piace il fatto che altri possano appropriarsi del proprio bagaglio esperienziale così come non piacciono i millantatori, che magari hanno scarse o nulle competenze reali ma con il tool “giusto” riescono ad ottenere risultati strabilianti.

A proposito di strumenti, è possibile allenare un proprio modello personale di Stable Diffusion, l’algoritmo generativo reso disponibile da Stability. Servono tempo, pazienza e (preferibilmente) hardware potente top di gamma.
Quella di Benny Cheung è una guida abbastanza dettagliata in merito, oppure è possibile usare uno dei tanti tool che stanno spuntando in rete da alcuni mesi a questa parte per semplificarvi l’opera.
In ogni caso, la questione fondamentale è che si, i grafici da anni attingono a materiale di terze parti da manipolare, ma c’è anche un limite. Non è un caso che le iscrizioni a provider di stock image occupino una fetta (più o meno considerevole a seconda dei casi) del budget di agenzie, studi di design e freelancer in tutto il mondo.
Sul discorso dell’originalità mi viene in mente un parallelo con le armi: avrete sentito quella frase fatta secondo cui le pistole di per se non uccidono nessuno, dipende da come e perché le si usa. Ecco, qui la questione è in qualche modo analoga: contano il modo e l’intento.
Tu puoi usare un’AI generativa per sostituire una banca dati stock, quindi per ottenere asset grafici da manipolare e/o assemblare, e produrre così degli artwork originali. Così come puoi allenare i tuoi modelli personali all’infinito, magari usando del materiale prodotto da te stesso, con l’obiettivo di generare risultati che riflettano uno stile univoco, o quantomeno peculiare, o anche solo di snellire il tuo workflow futuro.
Ma usare modelli e algoritmi in modi che non rispettano la deontologia e l’etica del tuo lavoro? Non saprei.
Copyright
In più di un’occasione sono nati dubbi sulla possibilità di conciliare i risultati delle AI generative con le normative vigenti in tema di diritto d’autore.
Un caso eclatante recente è la causa legale mossa dalla celebre agenzia fotografica Getty Images, che sostiene che l’algoritmo Stable Diffusion (ancora lui) sia stato allenato, illecitamente, con immagini proprietarie.
Sulla questione è sicuramente illuminante il resoconto scritto da Riccardo Falcinelli, in cui riassume le dinamiche legislative e pratiche legate al copyright delle immagini; vi consiglio la lettura.

Link al post cliccando sull’immagine
C’è inoltre un’altra questione legata al diritto d’autore sulle immagini prodotte con l’AI. La domanda è: puoi tutelare il copyright di ciò che crea un modello di intelligenza artificiale?
La risposta è mutevole: di base no, ma dipende.
Normalmente il diritto d’autore è applicabile al frutto di un’opera di ingegno, inteso come utilizzo applicato dell’intelletto umano unito alla pratica. Ciò che viene prodotto da AI al momento non è tutelato in quanto considerato output di un processo “meccanico”, ovvero lavoro automatizzato svolto da una macchina.
Tuttavia, ci sono già stati alcuni casi in cui il copyright sembra essere stato applicato (anche se implicitamente o quasi erroneamente). Eccone alcuni:
- Sul sito AIComicBook era disponibile fino a poco fa “Zayra of the dawn”, uno dei primi fumetti interamente creato con AI generativa. Il graphic novel in questione ha ricevuto la prima registrazione nota del copyright negli Stati Uniti per un’opera frutto di AI (la questione però non è del tutto chiusa).
- Jason Allen ha vinto un contest d’arte con un’opera realizzata con intelligenza artificiale; il creatore ha affermato di aver passato settimane ad affinare i suoi prompt e poi modificare manualmente il pezzo finito, suggerendo un grado relativamente alto di coinvolgimento intellettuale.
- Quello inglese sembra essere al momento l’unico ordinamento giuridico a garantire anche per le opere frutto dell’elaborazione tramite intelligenza artificiale la tutela del diritto d’autore (ad alcune condizioni).
Gli aneddoti appena citati sono tratti da un interessante articolo di The Verge, che affronta il tema del copyright sia dal punto di vista dell’input che dell’output; a chi volesse approfondire ne consiglio la lettura.
Come ulteriore approfondimento, c’è un’interessante discussione che vede partecipante il Prof. Giorgio Franceschelli disponibile su YouTube.

Sicurezza e progresso tecnologico
ChatGPT è offline da alcuni giorni in Italia; inizialmente si è parlato di problemi tecnici legati all’implentazione della versione 4, ma in verità si tratta di questioni di compliance col GDPR, come spiegato dal banner che compare se si tenta di accedere alla chat.
Alcuni giorni dopo i mass media riportano a gran voce le esternazioni di alcuni big dell’industria del tech, preoccupato dall’impatto che le AI di prossima generazione potranno avere sul sistema eocnomico e sociale.

Al netto di catastrofismi e complottismi vari, è tuttavia oggettivamente constatabile che le tecnologie AI stanno progredendo a un ritmo esponenzialmente elevato, forse troppo per stare al passo con gli standard di sicurezza informatica e con la “digeribilità” da parte degli utenti rispetto alle potenzialità derivanti dal loro utilizzo.
Un esempio sull’uso improprio è il fenomeno dei deep fake, che ha causato la diffusione sul web di immagini a tratti inverosimili, ad esempio: il Papa in abbigliamento all’ultimo grido, Donald Trump in arresto, Putin che si inginocchia a Xi Gin Ping.

Inutile specificare che, al netto della goliardia o black humor (che fanno sicuramente sorridere qualcuno), in un epoca in cui è facilissimo diffondere contenuti - anche in modo virale - alcuni di questi episodi potrebbero generare conseguenze meno simpatiche se non controllati.
Ecco un altro articolo di approfondimento di The Verge, sul tema deep fake:

In conclusione…
Conoscere e comprendere le implicazioni sull’utilizzo delle AI, così come le azioni in essere - sia dei fornitori dei servizi che di terze parti coinvolte a vario titolo - è sicuramente motivo di interesse e strumento per farne un uso sano e profittevole, preferibilmente senza danneggiare nessuno.
Forse la soluzione sarebbe studiare e applicare il buonsenso? Spero non sia troppo banale e scontato.
Visto che siamo in tema, lascio una lista delle AI generative per immagini e testo che talvolta (ultimamente più spesso) mi ritrovo ad usare nel mio lavoro; mi raccomando, fatene buon uso.